Sorelle, a voi non dispiace ch’io segua anche stasera la vostra via?
Così dolce è passare senza parole per le buie strade del mondo –
per le bianche strade dei vostri pensieri.
da Antonia Pozzi, Sorelle, a voi non dispiace, 1930.
Non siamo impermeabili a ciò che ci circonda.
L’ambiente nel quale viviamo “entra” in noi, influenza ciò che siamo, quello che pensiamo e facciamo. Ma, vale anche l’inverso. Ciò che siamo “esce” da noi, attraverso le nostre azioni, determinando l’ambiente in cui viviamo.
La nostra permeabilità all’ambiente se, senza dubbio, da un lato ci rende fragili, in ciò che siamo, dall’ altro lato ci rende capaci di uscire da noi e cambiare il mondo. La fragilità è quindi, insieme, forza.
Quando parliamo di ambiente intendiamo un insieme di elementi, tra i quali, innanzitutto, i luoghi concreti in cui la nostra vita si svolge: case, uffici, strade, bar, piazze… Si può ben vedere che ci sono luoghi e luoghi. Non solo. Ci sono luoghi e “nonluoghi”. Creazioni umane, entrambi influenzano le nostre vite e noi stessi, cambiandoci.
La distinzione tra luoghi e nonluoghi è opera dell’antropologo francese Marc Augé. «Se un luogo» egli sostiene nel suo Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità (Elèuthera, 2009) «può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale, né storico si definirà un nonluogo» (pag. 73). Egli faceva riferimento ad alcuni tipi di spazi che erano nati e si erano sviluppati in quella che egli definisce la “surmodernità”: centri commerciali, aeroporti, autostrade.
Non-indentitario. Seguendo la definizione di Augé, lo spazio del nonluogo non crea identità singole, bensì identità condivise: i nonluoghi spingono alla “similitudine”, creano dei modi di comportamento standardizzati e uniformati. Si fa come gli altri, dice Augé, «per essere se stessi». Non identitario significa quindi un luogo che non promuove la differenziazione ma l’uniformazione.
Non-relazionale. La similitudine, come modo di comportamento, è resa possibile e promossa dall ’assenza di relazioni che caratterizza i nonluoghi. Essi si costituiscono ed hanno caratteristiche tali da sfavorire il legame tra i soggetti che lo popolano, o meglio, percorrono. Stringere legami in un nonluogo, chiacchierare, discutere, conoscersi, è davvero “fuori luogo”. L’assenza di relazione del nonluogo quindi è ciò che promuove l’uniformazione di chi lo abita.
Senza relazione, senza il confronto e l’incontro, l’identità del singolo non acquisisce forza, ma al contrario, si perde.
L’uniformazione dei nonluoghi non si fonda sulla relazione, ma il contrario. Quando l’identità presupposta è condivisa e l’anonimato il modo di stare con gli altri, la possibilità di relazione viene meno: essa non ha senso né spazio. Ecco che non creando un sociale organico ma una “contrattualità solitaria” il nonluogo diventa, pur essendo caratterizzato dalla presenza massiccia di individui che lo percorrono, il luogo della solitudine e dell’identità che si perde.
Non-storico. Terza caratteristica della surmodernità e delle sue conseguenze antropologiche ha a che fare con il rapporto alla storia: il nonluogo è senza storia nel senso che non integra in sé spazi della memoria e del passato. La modernità, ci spiega Augé, non cancellava i “ritmi antichi”, la surmodernità sì: essi sono superflui nella costituzioni dei nuovi nonluoghi. Se l’identità è condivisa e la relazione bandita, il rimando alla storia è più che superfluo, è un ostacolo.
Il luogo antropologico è invece uno spazio capace di creare un “sociale organico”: esso rimanda alla storia, si fonda sulla relazione, e ciò contribuisce ad incentivare lo sviluppo di identità singole. Esso è quindi identitario.
Anche tra i luoghi ci sono luoghi e luoghi. Ovvero, all’interno della stessa definizione di luogo, ci sono spazi che più o meno esauriscono la definizione e le sue caratteristiche. Ed è qui, all’altezza di questa questione, che vorrei introdurre un discorso sui luoghi “delle donne”. Con questa espressione rimando innanzitutto a dei luoghi concreti e alla loro storia: Biblioteche, Centri, Case, Librerie appunto “delle donne”.
Cosa vuol dire, innanzitutto, “delle donne”? La specificazione non rimanda all’idea del possesso, né al senso per cui i luoghi delle donne siano esclusi aprioristicamente agli uomini. L’utilizzo della specificazione serve a distinguere questi luoghi da quelli di una tradizione con cui essi rompono: ovvero la tradizione dei luoghi pubblici esclusi alle donne. Si tratta quindi di qualificare un luogo distinguendolo da altri con i quali entra, in un certo senso, in conflitto. Essi miravano a costituire un sociale organico diverso.
Se i luoghi antropologici sono identitari, relazionali e storici, i luoghi delle donne lo sono quindi in un modo speciale: per certi aspetti, potremmo dire, qui si trova un surplus di identità, un di più di relazione e anche un’eccedenza di storicità. I luoghi delle donne sono “più luoghi” di altri. Lo erano allora, quando sono nati, lo possono essere ancora oggi.
L’identità. Chi sono le donne, cosa vogliono, cosa pensano e sentono, cosa desiderano. Le donne che fondarono i primi luoghi delle donne si trovavano nella situazione di chiedersi cosa volesse dire non solo essere donna, ma soprattutto “chi sono io”. Scardinare la prigione dei modelli patriarcali voleva dire trovarsi nel vuoto di riferimenti. L’unico modo era “partire da sé”. I luoghi delle donne hanno mantenuto questa tensione nei confronti dell’identità: la sua messa in questione, il mio mettermi in gioco, è una loro caratteristica peculiare.
La relazione. Abbiamo visto come non sia possibile alcuna identità senza relazione. L’assenza di relazione è uniformazione e similitudine. Questo le donne lo sapevano bene. L’unico modo per partire da sé e porsi la domanda sulla propria identità era mettersi in relazione con l’altra. L’autocoscienza aveva proprio questo significato: tutto il contrario di un’attività introspettiva, l’autocoscienza era uscire da sé per scoprirsi attraverso lo sguardo dell’altra. La relazione è quindi il vero motore di sviluppo dei luoghi delle donne.
La storia. Fin da quando sono nati i primi luoghi delle donne, la storia acquisiva al loro interno una dimensione e un senso particolari. Le donne comparivano nella Storia, nella migliore delle ipotesi, come semplici comparse di una narrazione del tutto maschile. Tra la grande massa degli esclusi dalla storia, le donne occupavano un posto preciso. La storia doveva quindi comparire nei luoghi di nuova nascita anch’essa come messa in discussione non solo della storia tramandata, ma del senso stesso della Storia.
La storia delle donne più che una narrazione di fatti passati nasceva come un “fare storia” e un “farsi storia”, un essere soggetti attivi del processo storico e non solo passivi. E’ ciò di cui parla Marìa Zambrano quando dice che per liberarsi dall’oppressione della storia occorre risvegliare la «coscienza storica» (in Persona e democrazia. La storia sacrificale, Bruno Mondadori, p. 8). Coscienza è «perplessità, messa in discussione, dubbio» (p. 11). La storia si dà nel presente ed ha a che fare con ciò che io sono. E’ l’oggi la sua base temporale prima. Poi viene il futuro e, solo da ultimo, il passato. Per le donne, storia significava la scoperta delle proprie radici, di ciò che tiene in piedi. Essa entra nei luoghi delle donne come loro fondamenta.
I luoghi delle donne sono luoghi speciali. I nonluoghi producono alienazione e solitudine, e anche tristezza. I luoghi delle donne rispondono invece all’esigenza umana di sviluppare la propria identità, vivere in relazione, avere delle radici. Rendono felici.
Stiamo cercando di creare uno di questi luoghi delle donne anche nella nostra città, Padova, per maggiori informazioni: http://linkpdb.me/6782