‘Indifferenti’ a chi? Le teorie queer e il pensiero della differenza sessuale

di Lorenzo Bernini

(Pubblichiamo l’intervento di Lorenzo Bernini in occasione del nostro incontro “Fine della differenza sessuale? Spunti a partire da ‘Noi che non siamo indifferenti’ di Diana Sartori”)

Non posso che cominciare con il ringraziare Ilaria Durigon e Laura Capuzzo per avermi nuovamente invitato in un luogo tanto accogliente e ospitale quanto è Lìbrati. Anche se mi hanno invitato in una posizione piuttosto scomoda – se possibile ancora più scomoda dell’ultima volta. Come già è stato detto, questa è infatti la seconda puntata di un dibattito iniziato circa un anno fa, dedicato al confronto tra le teorie queer e il pensiero della differenza sessuale. Allora come ora, la questione, evidentemente, è di quelle complesse. Nella prima puntata mi muovevo almeno su un terreno a me congeniale: Ilaria e Laura ci avevano invitato a discutere a partire da un articolo di Judith Butler del 2001, intitolato Fine della differenza sessuale? – e Butler è un’autrice che ho a lungo frequentato. Oltre all’articolo di Butler, lo scorso anno presi in esame alcuni testi di Luisa Muraro e alcuni interventi pronunciati da altre pensatrici della differenza al grande seminario di Diotima, e mostrai come in questi interventi il pensiero di Butler e le teorie queer in generale venissero indicati con l’espressione “teoria del gender”, “teoria di genere” o al massimo “gender theory”, senza prendere a sufficienza le distanze dall’operazione mistificatoria del Vaticano e dei movimenti tradizionalisti. Il problema non si esaurisce naturalmente nei termini utilizzati, ma sta soprattutto nei contenuti di cui quei termini vengono riempiti.

Luisa Muraro ha scritto ad esempio che lo scopo di quella che chiama talvolta «teoria di genere» talaltra «gender theory dei cinque sessi» o semplicemente «gender theory», è «escludere la differenza sessuale dalle cose umane» per sostituirla con «un travestitismo generalizzato senza ricerca soggettiva di sé, disegnato dalle mode e funzionale ai rapporti di potere». Alessandra Allegrini ha sostenuto che la «teoria del gender» «collude» con le ultime tendenze della tecnoscienza, volte a produrre una vita che non si riproduce più, ma che «si rigenera». Chiara Zamboni che esiste una tendenza della «teoria del genere» volta alla «cancellazione dei generi», all’«azzeramento della differenza», alla produzione di un nuovo «neutro universale». Tutto ciò è perfettamente in linea con quanto sostenuto dal Vaticano e dai campioni dei movimenti anti-gender quali Massimo Gandolfini, Gianfranco Amato o Diego Fusaro: senza prendere realmente in esame il pensiero di Butler e di altre autrici e altri autori queer che neppure vengono nominati, si attribuisce a una non ben precisata «teoria del gender» di voler cancellare la differenza sessuale con l’uso dell’educazione, delle tecniche di riproduzione assistita e della chirurgia, e di voler imporre a tutte e tutti un’identità transgender o neutra.

Di fronte a questa strana convergenza tra il cattolicesimo tradizionalista e alcune teoriche di Diotima, l’anno scorso ho insistito sul carattere mistificatorio della campagna anti-gender. Lo scontro tra le istanze dei movimenti LGBTQI e le posizioni della Chiesa è uno scontro reale, profondo e radicale che tutte e tutti qui consociamo. La Chiesa ha quindi tutte le ragioni per reagire, ma il punto è che il modo in cui ha reagito è intellettualmente disonesto: in parte fraintendendo e in parte falsificando ad arte le teorie queer, la campagna anti-gender ha infatti costruito lo spauracchio di una ideologia normativa propagandata da una potente «lobby omosessaulista» che in realtà non esiste. Che all’esistenza di questo spauracchio credano acriticamente anche teoriche del pensiero della differenza, che non sappiano fare dei distinguo, che accomunino sotto la stessa etichetta di teoria del gender teorie e istanze assai differenti, è a mio avviso molto deludente.

Qualcosa che accomuna la teoria della performatività del genere di Butler a molte altre teorie queer, ben inteso, c’è: ma non è il voler escludere la differenza sessuale dalla cose umane (Muraro) o dalla riproduzione della vita (Allegrini); non è il voler cancellare i generi (Zamboni), né il voler costringere tutte e tutti a un travestitismo generalizzato (Muraro) o a una identità neutra (Zamboni). Ciò che accomuna le teorie queer è piuttosto la critica radicale all’ordine eteropatriarcale: una critica delle norme che vengono imposte a corpi e soggettività quando vengono cristallizzati in identità prestabilite e obbligatorie. Questa critica è evidentemente assai differente dall’imposizione di nuove identità e nuovi generi a tutte e tutti. I teorici e le teoriche queer non mirano affatto a imporre un’identità neutra universale o un travestitismo generalizzato – al contrario criticano l’imposizione di identità maschili e femminili cisgender ed eterosessuali. Invitano cioè a comprendere quanto già tutti e tutte, comprese le lesbiche e i gay, comprese le persone bisessuali, transgender e intersessuali­ ­– siamo travestiti di abiti cisgender ed eterosessuali che altri hanno scelto per noi. Il travestititismo generalizzato senza ricerca soggettiva di sé di cui parla Muraro, insomma, c’è di già. Ciò a cui il pensiero queer invita è a rendere il più possibile libera la ricerca soggettiva di sé senza accontentarsi di vecchie ricette e senza fornirne di nuove.

Qui il testo completo: Lorenzo Bernini_Indifferenti a chi

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