Scheda del libro
Ondfej ha trent’anni e un matrimonio scandito da una soffocante routine. Quando, però, il vuoto che si porta dentro prende il sopravvento, abbandona le proprie aspirazioni, il lavoro, la moglie e il figlio rifugiandosi in una vita d’attesa, confortata solo dall’alcol. E suo il monologo con cui si apre il libro, interrotto dalla voce della madre che racconta il sogno infranto di una vita familiare appagante. Affiora così il ritratto di una donna che fruga tra le pieghe del passato per spiegarsi le ragioni dell’infelicità di un figlio che le è sempre stato estraneo. Ma anche quello di una donna che, dinanzi alla propria infelicità, inganna le rughe del tempo curando ossessivamente il proprio corpo e lenisce le ferite dell’anima frequentando corsi che promettono benessere e soddisfazione. Ciascuno parla solo a se stesso in questo “dialogo” a distanza, dove le riflessioni dell’uno servono a colmare le lacune dell’altro, svelando così le omissioni di entrambi. Nessuno dice tutto, forse tutto non si può nemmeno dire e la comunicazione tra loro ha il sapore del malinteso. Vivono vicini ma distanti, autentici nell’impossibilità di comprendersi, come se si guardassero attraverso un vetro opaco.